Sharenting: fra necessità di informazione e pregiudizio.

Negli ultimi tempi si è assistito ad un rapido incremento dell’utilizzo delle piattaforme social che ha garantito l’apertura di una “finestra” sulla nostra quotidianità, mediante la condivisione di materiale personale, il più delle volte non preoccupandosi delle conseguenze che ne potrebbero derivare. Quando a essere esposto è un minore il discorso è delicato in quanto risulta necessario prestare una maggiore tutela nella condivisione di materiale nel quale lo stesso è raffigurato; tuttavia l’esperienza condivisa ci dà atto del contrario.

In merito si parla di sharenting, cioè la condivisione da parte dei genitori di foto e video ritraenti i figli minori all’interno di piattaforme social. Questa sembra essere una tendenza oramai ben consolidata e in alcuni casi ha permesso di costruire diverse tipologie di lavori con altrettanti introiti generalmente declinati verso la realizzazione di pubblicità.

Tuttavia nonostante la tendenza dei genitori sia orientata alla condivisione talvolta per ricercare supporto emotivo ed educativo è evidente come la continua diffusione di immagini dei figli determini un’esposizione mediatica senza precedenti che è incongruente con quanto dettato  all’interno dall’art.316 c.c., il quale afferma che “entrambi i genitori hanno la responsabilità genitoriale che è esercitata […] tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio” nonché dell’art. 96, L. 633/1941 che riconosce anche al minore il diritto alla tutela della sua immagine nonostante, sino al compimento della maggiore età, i genitori ne conservano la responsabilità legale.

Ciò nonostante sarebbe importante interrogarsi sui concreti rischi che tale esposizione comporta o potrebbe comportare:

  1. In primis vi è il rischio di lesione della privacy la cui tutela riguarda tutti, compresi i minori, che se lesa potrebbe minare la loro reputazione digitale portando in alcuni casi a fenomeni di cyberbullismo;
  2. In secondo luogo vi è il rischio di furto di identità;
  3. Potrebbero esserci delle ripercussioni sul corretto sviluppo psicologico dei minori esposti che potrebbero essere portati alla non chiara distinzione fra il piano della realtà e quello digitale;
  4. Ultimo non per importanza: le immagini dei minori potrebbero essere utilizzate per alimentare lo scambio di materiali pedopornografici talvolta anche con l’aggiunta di informazioni che rendono il minore facilmente individuabile.

COMPORTAMENTI TUTELANTI

Sarebbe opportuno, per le ragioni prima esposte evitare di mettere in evidenza i volti o farlo parzialmente oltre a non indicare né la posizione né i luoghi di vita del minore. Inoltre nel caso si riscontri qualche attività sospetta o si individui un crimine informatico sarebbe necessario rivolgersi alle autorità competenti quali la Polizia Postale o il Garante per la privacy.

Una nota certamente critica è l’impegno ad educare esclusivamente i cittadini del domani dimenticando completamente i bisogni informativi e formativi degli adulti d’oggi in merito al corretto uso delle piattaforme social e del materiale digitale. Su questa linea sono sia l’istituzione scolastica, attraverso il Piano Nazionale Scuola Digitale, sia Agcom che ha realizzato una nuova delibera che muove nella direzione di introdurre forme di parental control per l’utilizzo di alcune piattaforme tuttavia all’orizzonte non si prevede un intervento normativo diretto a fornire una maggiore tutela ed una limitazione alla condivisione da parte di genitori, parenti o amici di materiale ritraente minori, soprattutto quando quest’ultimi non sono in grado di esprimere il proprio consenso.

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Roberta Marasco

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